domenica 21 settembre 2014

The Master (The Master, 2012) di Paul Thomas Anderson

Freddie Quell è un reduce della seconda guerra mondiale dalla psiche a pezzi e l'animo tormentato: è un alcolizzato, un indolente, un sociopatico, un drogato di sesso, la cui vita cambierà completamente dall'incontro con il carismatico affabulatore Lancaster Dodd, detto "il Maestro", a capo di una setta di fanatici che fa proseliti attraverso un particolare processo di introspezione autoindotta. Freddie si unirà al Maestro ed il percorso di vita comune porterà ad esiti per nulla scontati. The Master è un film difficile, a tratti ostico, ma straordinario ed è il capolavoro del regista, il suo film più riuscito, coeso e maturo: finalmente il talentuoso P.T. Anderson ha definitivamente raggiunto lo status di grande autore, cosa che, fino ad ora, aveva sì fatto ma in modo altalenante: o perchè ancora acerbo o perchè ancora troppo legato a certi virtuosismi autoreferenziali o perchè ancora oscillante tra eccellenti modelli ispiratori (Altman, Scorsese) in cerca di un sua via totalmente personale. Una via che è stata trovata con quest'opera sontuosa, potente ed asciutta, che è  un raro modello di coesione, equilibrio, forza espressiva, densità tematica, complessità concettuale, il tutto cementato con un rigore "classico" che lascia ammirati per la sua perentoria compostezza. Nulla viene mai urlato ma tutto viene suggerito attraverso immagini, espressioni, silenzi, sguardi, dialoghi quasi surreali nella loro ambiguità. La messa in scena è asciutta e misurata ed il rigore registico sa tenere sotto controllo l'enorme potenziale esplosivo insito nella storia, nelle tematiche e nelle enormi intepretazioni degli attori, tutti in stato di grazia. Sarebbe stato facile indulgere in certe tentazioni e strafare, spingendo sul pedale della critica sociale o del fanatismo tipico di certe "religioni". Chi si aspettava un film su questo, sulle sette, su Scientology, sul bigottismo americano rimarrà deluso o, quanto meno, interdetto. Il film parla anche di questo, ma con garbo,  procedendo per sottrazione e giammai per accumulo, scegliendo di lasciare il tutto in background. Una scelta che, nella sua "impopolarità", già dimostra il coraggio e l'assoluta personalità dell'opera, autoriale fino al midollo. In primo piano c'è invece, come al solito, la solitudine dei due protagonisti principali (Joaquin Phoenix ed il compianto Philip Seymour Hoffman che sono da encomio solenne), facce opposte della stessa medaglia, e la loro disperata ricerca che trova momentaneo conforto/cimento nell'eterna dicotomia allievo-maestro. Nel suo livello più profondo è un film sull'animo umano che ci parla di emarginazione, inadeguatezza, smarrimento, disperazione, ricerca del sè: tutti temi tipici per il regista californiano che qui realizza un compendio delle sue idee. Ma ciò che lascia maggiormente ammirati è la capacità di far coesistere il sobrio rigore detto prima ad un'affascinante struttura narrativa "ondivaga", ovvero filtrata attraverso la percezione alterata di sè stesso e del mondo da parte di Freddie. Questa commistione tra "classico" e "innovativo", riuscita in modo straordinario, lascia, al contempo, ammirati e straniti, come se si fosse assistito ad uno spettacolo di cui è indubbia la percezione di grandezza ma non se ne riesce, nell'immediato, a definirne i contorni. Come tutte le grandi opere va rivista più volte, ed ogni volta lascerà qualcosa di nuovo o di diverso, cosa tra l'altro inevitabile data la notevole profondità tematica e l'estrema compattezza espressiva. E', insomma, un prodotto per cinefili, che richiede impegno ed affinità con il linguaggio e i tempi del cinema d'Autore, ma che non può che lasciare ammirati per il totale controllo della materia filmica raggiunto dal regista: direzione della scena e degli attori, utilizzo della partitura musicale, equilibrio nella scomposizione e ricomposizione della grammatica filmica, gestione della fotografia che celebra e rielabora la potenza ed il peso del cinema analogico (è stato girato completamente nella ricchezza dei 70 mm). Come tutte le grandi opere ha diviso, e dividerà, pubblico e critica, ma il tempo gli renderà piena giustizia.

Voto:
voto: 4,5/5

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