Pete
Lunn, detto “lo svedese” è un ex pugile che vive in una anonima cittadina
sperduta. Quando vede arrivare due gangster di Chicago capisce che il suo
destino è segnato e sceglie di non opporsi alla sua sorte. Attraverso il flusso
dei suoi ricordi scopriremo il perchè. E’ il film che ha consacrato la statura
artistica dell’autore, per molti il suo capolavoro, uno dei noir
stilisticamente più ammirevoli e più elaborati del genere. Ispirato da un
racconto di Hemingway, del quale i primi 15 minuti forniscono una traduzione
cinematografica da manuale, il film sviluppa poi una vicenda del tutto
originale, inventata da una sceneggiatura particolarmente abile e complessa,
strutturata su un caleidoscopico gioco di flashback, che ricorda quello del
celeberrimo Quarto potere di Welles.
La ricostruzione retrospettiva del complicato intreccio permette al regista di
immergere la vicenda in un atmosfera di minaccia e di instabilità, tra le più
intense ed esemplari del cinema noir, e di esibire una maestria formale che si
esprime attraverso immagini di forte rilievo espressivo (evidenziate dalla
contrastatissima fotografia in bianco e nero) e sequenze tecnicamente
sofisticate (il già citato prologo, il piano-sequenza della rapina, il finale
sulla scalinata immersa nel buio). Rimarchevoli anche il cupo fatalismo che
domina la vicenda, il disperato lirismo della storia d’amore, il ritratto
iconico dei personaggi (l’eroe duro ma fragile di Burt Lancaster, la “dark lady” da antologia della bellissima
Ava Gardner). Non solo un noir formidabile, ma anche una grande lezione di
cinema. Anche John Huston collaborò alla sceneggiatura, non accreditato. Da
ricordare infine che dallo stesso racconto di Hemingway, ma chiaramente
influenzato dal film di Siodmak, Don Siegel nel 1964 realizzò un remake a
colori, Contratto per uccidere, un
altro cult fondamentale per lo sviluppo del noir (che fu sottratto agli stilemi
del bianco e nero e consegnato all’ambigua nitidezza del colore, dando l’avvio
alla fase “moderna” del genere).
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